Ambrogio Riboldi


Nato ad Arcore il 18 dicembre 1923.
Già da giovane nutre una profonda attrazione per la libertà confortato in ciò dalle convinzioni antifasciste dei genitori, dei fratelli e delle sorelle. Segue con trepida preoccupazione l'evolversi dei drammatici eventi che coinvolgono l'Italia e le notizie che da Roma arrivano ad Arcore; quindi il declino del fascismo: l'entrata in vigore delle leggi razziali, la dichiarazione e lo sviluppo della guerra, la formazione clandestina del Comitato dei Partiti Antifascisti * , la caduta ufficiale del fascismo (il 25 luglio 1943) e gli eventi successivi all' 8 settembre: l'immediata formazione del Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) * e la lotta partigiana lo trovano già preparato.
È in contatto con altri giovani, e meno giovani, che poi entrano nella Resistenza (fra di loro praticamente tutti i martiri arcoresi della Guerra di Liberazione oltre ad altri che riescono a sopravvivere: tra loro anche Silvio Mandelli, Giancarlo Rossi, Dante Teruzzi).
Riceve nel 1944 la chiamata alle armi da parte della Repubblica di Salò (RSI); si da alla macchia e con altri giovani renitenti alla leva (vengono chiamati "sbandati") entra in contatto con Giuseppe Centemero (comandante della 104^ Brigata Garibaldi) fa parte della Resistenza.
Si tratta di "far guerra alla guerra", spiega il suo comandante.
La brigata, che opera "in pianura", ad Arcore e paesi vicini, ha trai suoi compiti principali: il sabotaggio delle strutture di produzione bellica e dei trasporti militari; la diffusione della stampa clandestina antifascista; l'approvvigionamento di armi, viveri e generi di conforto da far pervenire ai partigiani che combattono in montagna.
Ricercato dalla polizia fascista (Non lo trovano !? Arrestano suo padre!), vive in clandestinità sino ai primi mesi del 1945 quando, arrestato, viene tradotto a Milano, nel carcere di San Vittore, assieme ad altri suoi due compagni. Un gruppo di persone in paese raccoglie dei soldi per corrompere chi può risparmiar loro la pena di morte: la evita assieme ai suoi compagni. Resta però in carcere sino al 25 aprile 1945, il giorno della Liberazione!
Fuori dal carcere, dopo i festeggiamenti per la ritrovata Libertà (sua e dell'Italia), comincia il suo problema di lavoratore: stranamente le aziende, nel '45, possono avere qualche preoccupazione nell'assumere un ex partigiano nonostante la Legge prescriva che almeno il 2% dei lavoratori sia formato da ex combattenti e partigiani!
Viene assunto alla Gilera di Arcore nel 1947 ma nel '60 viene licenziato: motivi politici.
Assunto a tempo determinato presso la Bianchi di Milano, può restare presso quella azienda grazie ai suoi colleghi di lavoro che lo eleggono loro rappresentante sindacale. Resta alla Bianchi sino al 1977.
Oltre che lavoratore e sindacalista è anche Ammistratore Comunale e Vicesindaco di Arcore, dal 1975 al 1985.

È stato Presidente ad Honorem della sezione arcorese dell’ANPI fino al decesso, avvenuto in data 5 settembre 2020.