Silvio Mandelli


Non lasciamo cadere nell'oblìo l'immane tragedia prodotta dal nazi-fascismo nella prima metà del secolo scorso, su chi non chiedeva altro che libertà, cultura e lavoro nella democrazia.
E le sofferenze per chi vuoi solo vivere secondo questi principi non sono ancora terminate in molte, troppe parti del mondo.


La testimonianza di un ex-internato nel campo di concentramento di Flossemburg:
Silvio Mandelli di Arcore


Trascorse otto anni nell'esercito italiano, dopo l'8 settembre '43, Silvio Mandelli, volle ribellarsi al fascismo ed entrò a far parte della formazione garibaldina di Arcore, la 104a Sap, guidata da Giuseppe Centemero, comunista, il quale diede il primo impulso alla lotta partigiana in questa zona. Ma, il 24 agosto '44, Mandelli fu arrestato in un'imboscata a Cascina del Bruno.

“Il 24 agosto, sei partigiani del gruppo di Centemero che stavano eseguendo un trasporto d’armi nascoste subito dopo l’armistizio nei terreni di Concorezzo, vengono intercettati dai fascisti, messi al corrente del fatto da una delazione probabile di un componente del gruppo. Viene preso solo Silvio Mandelli, che viene portato alla caserma della brigata nera di Arcore del comandante Marzolli; viene interrogato e picchiato, ai fascisti interessa prendere il capo, Giuseppe Centemero. Per questo motivo Mandelli viene trascinato alla cascina del Sentierone, dov’è ubicata l’abitazione del ricercato. Tedeschi e Repubblichini hanno guà circondato la casa illuminandola a giorno con i fari degli automezzi, ma Centemero è stato avvisato e ha fatto in tempo a scappare. Tutti gli uomini della cascina vengono schierati sul ballatoio e fatti inginocchiare, cinque di questi più il padre di Centemero vengono portati via, quest’ultimo si farà quattro mesi di carcere insieme all’avvocato liberale Ravizza, arrestato nella stessa notte.
Per Silvio Mandelli è l’inizio di un calvario che passerà attraverso le note stazioni della via Crucis partigiana brianzola, ossia le carceri di Monza, la villa Reale, per approdare poi perfino al sinistro hotel Regina a Milano, sede della SS tedesca. Indi S. Vittore, prima di essere inviato a Bolzano Gries e poi nel campo di concentramento di Flossenburg.” Dal libro di Pietro Arienti La Resistenza in Brianza 1943-1945.

Testimonianza di Silvio Mandelli

"C'era un sergente maggiore, un criminale: ne ha uccisi tanti in modo indecente, ricorda.. Quando era ubriaco se la prendeva con i prigionieri ebrei: li faceva strisciare per terra inseguiti dal suo cane ...quando erano sfiniti, due colpi e li eliminava ..." Per evitare la deportazione, tentò due volte la fuga e si buttò dal convoglio che lo stava trasferendo a Bolzano, ma fu ripreso e imprigionato a Bressanone dove dovette subire un brutale interrogatorio: minacce, percosse e 140 nerbate. Il 23 gennaio del '45 fu deportato nel campo di Flossemburg:
"Ci buttarono in prigione, nudi, con venti gradi sottozero. Poi ci diedero una divisa, poco più di un pigiama, e un paio di zoccoli. Fuori nevicava, un freddo indescrivibile: ci mettevamo l'uno contro l'altro, per scaldarci e per farci forza. Tutti i comandanti di baracca (nella mia eravamo settecento) erano delinquenti condannati, con l'incarico di farci diminuire giorno per giorno. Già dalla prima notte ho visto cose allucinanti: carri carichi di prigionieri che tornavano dalle cave di pietra dove avevano lavorato come bestie. Sfiniti, pelle e ossa, si mangiava solo rape e si beveva una brodaglia. Chi non ce la faceva veniva buttato sulle barelle per essere portato ai forni crematori. Tutti ammucchiati dalle SS come stracci, come chi non resisteva alla tortura delle docce, cioè a stare dalle 9 di sera alle 5 del mattino sotto scrosci d'acqua prima bollente, poi gelata. La gente spariva: cercavano di non farci vedere, ma di notte si sentiva una puzza indescrivibile ...erano le cataste di cadaveri che bruciavano..."
Sorvegliato a vista, sulla camicia a strisce bianche e blu, aveva il “triangolo rosso”, il segno dei deportati politici. I ritmi di lavoro erano intollerabili, aggravati dallo stato di denutrizione e dall'assoluta assenza di servizi igienici. In quell'inferno, sotto il peso di tre condanne a morte, riusciva tuttavia a nutrire perfino speranza:
Nel marzo '45 Silvio Mandelli pesava trentacinque chili, aveva il tifo petecchiale e la febbre a 43. Un mese dopo, prima dell'arrivo degli "alleati", i responsabili del campo decisero di evacuare, tentando di smantellare i forni crematori e non lasciare prove dello sterminio. Prima dell'evacuazione, che avvenne il 20 aprile, fu eliminato un numero infinito di prigionieri ebrei:
Quasi sessant'anni dopo, Silvio Mandelli spesso si dichiara assalito dal ricordo di chi non ce l'ha fatta. ..è un gran dolore abbandonare una persona, bisogna provare per capire.
Mandelli tornò a casa il 29 giugno di quel 1945: .
Silvio Mandelli è stato spesso tra i giovani delle scuole dove ha trovato un uditorio straordinariamente attento e serio, ma non è mai riuscito a tornare a Flossemburg: non ce l'ha fatta: <...sei o sette anni fa sono andato a Mauthausen. ...ma so che a Flossemburg è rimasto ben poco del campo di concentramento ...solo alberi e prati, che hanno ricoperto la violenza e la morte ...>.